domenica 22 aprile 2012

"Architettura e modernità"

leggendo le pagine del libro "Architettura e modernità" ho trovato molto interessante la settima parte intitolata: Il successo dell'architettura nel mondo: 1988-2000; in quanto racconta un momento di profondo cambiamento in ambito architettonico.
Riporto di seguito i vari passi trattati nel libro, analizzando brevemente le opere più importanti citate in queste pagine.


La mostra del 1988 Deconstructivist Architecture , presso il Moma di New York; nella quale vengono messi a confronto sette architetti quali: Peter Eisenman, Zaha Hadid, Frank Gehry, Coop Himmelb(l)au, Bernard Tschumi, Daniel Libeskind e Rem Koolhaas; ha avuto il potere di influenzare gli orientamenti futuri del dibattito architettonico, in un contesto socio-politico caratterizzato da grandi cambiamenti: la caduta del muro di Berlino (1989), la decadenza del comunismo russo, l’elezione di Papa Wojtyla, l’apertura verso una nuova globalizzazione.

Il nome voluto dai curatori Philip Johnson e Mark Wingley  “decostruzione”, fa riferimento in prima istanza alla decostruzione filosofica di Jacques Derrida secondo il quale, tutto ruota attorno al concetto di differànce  “che serve a focalizzare l’attenzione sul carattere dinamico della differenza, irriducibile condizione di possibilità della presenza, dell’identità” (Derrida 1972). In questo modo, l'architettura scardina le strutture portanti della tradizione e cerca di liberarsi dalla subordinazione ad altro - per esempio al valore del bello, dell'utile o dell'abitabile. Ciò non significa dar vita a forme architettoniche inutili, brutte o inabitabili, ma significa solo voler "contaminare l'architettura".

Come sostiene il sociologo Alvin Toffler infatti, si apre in questi anni La terza ondata e cioè una nuova fase in cui l’architettura si presenta come mezzo di comunicazione, come metafora. Non è il carattere funzionale e rendere giustizia all’opera ma piuttosto il suo modo di relazionarsi con il contesto urbano e sociale.
A questo proposito vale la pena dunque nominare due progetti particolarmente significativi e conosciuti:
Museo ebraico di Berlino, Daniel Libeskind, 1989-99

Il museo a forma di spezzata, si incunea nella nobile zona barocca di Friedricstadt e trae forza dalla linea capace di rompere, estendersi, lacerare lo spazio. E’ l’architettura stessa, fatta di spazi vertiginosi e laceranti a comunicare il dramma vissuto dal popolo ebraico; è un luogo che riesce a trasmettere un’idea totalizzante e drammatica di vuoto esistenziale. Un senso di inquietudine, di squilibrio e di colpa pervade e accompagna il visitatore.

Museo Kiasma di Helsinki, Steven Holl, 1993-98

Il museo si basa un’idea metaforica e gioca sul duplice significato di chiasma: inteso come figura retorica o punto di incontro delle nervature ottiche.  Secondo Steven Holl, il progetto deve percorrere, scoprire i flussi e sentire la luce e i materiali dell’architettura. Sono i flussi e le forze stesse della città (le preesistenze, i movimenti, la griglia urbana, l’acqua) a definire la forma dell’edificio.

 Questo spiccato interesse per l’informazione e la cultura, si sposa; nell’ultimo decennio del ‘900, con la volontà di riqualificare le aree industriali dismesse e porta alla nascita del concetto di mixitè funzionale ampiamente trattato negli anni da Renzo Piano.
La società dell’informazione infatti; fondandosi sulle reti di comunicazione, ha permesso di combinare e sovrapporre le diverse funzioni ribaltando il concetto di zoning che aveva rigidamente diviso la città in tempi e spazi.
Proprio a Renzo Piano spetta il ruolo di promotore di questo nuovo approccio mentale già implicito nel Beaubourg  di Parigi. Il progetto chiave è il Sony center a Postdamer Platz, Berlino, 1992-1998

E’ un edificio in cui residenziale, commerciale e terziario si alternano in un gioco di forme e colori che non perde di vista l’aspetto architettonico, urbano e ambientale.

Contestualmente in questi anni emergono interessanti studi sulla trasposizione dell’arte in architettura. Secondo Calatrava; promotore di questo nuovo approccio progettuale, il calcolo e la conoscenza tecnica sono solo gli strumenti per ottenere la forma desiderata. Le sue costruzioni, che dichiaratamente ricalcano le strutture vegetali (rami degli alberi) e anatomiche (scheletri degli esseri viventi), sono caratterizzate da un uso sapiente dei materiali impiegati ciascuno per le sue proprietà specifiche: la pietra in compressione, il ferro in tensione, il legno per piccole luci, il cemento armato per dare forma plastica alle membrane strutturali.
L’altro aspetto fondamentale di queste enormi sculture, oltre all’armonica sagomatura delle armature rispetto agli sforzi, e alla conformazione organica degli spazi, è che sono strutture in grado di muoversi.
Padiglione Swissbau, Basilea, 1989

E’ proprio il movimento la chiave più importante e affascinante di quest’opera. La composizione si basa infatti su una serie di costole incernierate lungo un muro in cemento armato con dei dischi la cui rotazione si ripercuote nel movimento ascendente e discendente delle nervature.

Per Koolhaas invece, impegnato nella stesura del libro Delirious New York nel quale analizza la metropoli americana, il tema centrale dell’architettura è l’applicazione del principio sommatorio e additivo.
Casa Floriac, Bordeaux, 1997-98

 La casa è particolarmente interessante per l’innovativa soluzione scelta dall’architetto che si è dovuto confrontare con la disabilità del committente. Se dall’esterno appare fredda e metallica, all’interno una parte del solaio; che corrisponde allo studio del proprietario, attraverso un pistone idraulico, è in grado di alzarsi e abbassarsi in corrispondenza dei vari livelli dell’edificio permettendo al committente la massima flessibilità nei movimenti.

Un altro tema affrontato in ambito architettonico da Jean Nouvel  e da Herzog & De Meuron è quello della superficie e della bidimensionalità.
Nouvel stesso afferma:  “L'architettura deve ormai significare, comunicare, raccontare; deve rivolgersi più all'anima che alla vista, e per conseguire queste finalità, ogni espediente è concesso.” Per la prima volta la trasparenza non è più legata all’oggettività della macchina ma piuttosto all’ambiguità dei messaggi contemporanei trasmessi dai media.
Fondazione Cartier, Parigi, 1991-94

Si tratta di un’architettura leggera fatta di una sottile trama di vetro e acciaio. Il largo uso delle superfici vetrate trasparenti, creano un effetto illusorio che attenua i limiti tangibili dell’edificio e rende superflua la lettura di un volume solido, in una poetica dell’evanescenza. Gli alberi traspaiono dietro l’alto recinto vetrato ad eccezione del grande cedro che si riflette nei due schermi riflettenti che sottolineano l’entrata.

Cabina di manovre ferroviarie, Basilea, 1994-97
Per loro la superficie esterna non è affatto un tema superficiale ma piuttosto rivela inaspettate profondità emotive, caratteriali, storiche e psicologiche proprio come avviene per il nostro corpo. L’edificio si presenta come un volume scatolare ricoperto da strisce di rame che si avvolgono in certi punti per permettere alla luce di entrare nell’edificio. E’ proprio la luce il nuovo mezzo per trasmettere i messaggi nel mondo contemporaneo e la superficie dell’edificio diventa dunque la nuova vera interfaccia.

Ma in un contesto urbano già impostato e in gran parte costruito, le aree dismesse diventano il punto di partenza per creare nuove relazioni tra il nuovo e il vecchio. L’esempio più evidente è il
 Centro Le Fresnoy per le Arti contemporanee, Tourcoing, 1991-97
Il complesso, anch’esso basato su un concetto di mixitè (scuola d’avanguardia e centro di produzione), è tutto incentrato sullo sfruttamento sapiente degli spazi interstiziali ottenuti coprendo le vecchie strutture murarie con una copertura piana metallica. La scelta, come si potrebbe pensare, non è stata dettata da esigenze funzionali bensì al contrario la volontà dell’architetto era proprio quella di riuscire a mettere in relazione il passato industriale con il presente elettronico fondato sulle interconnessioni.

Vale la pena a questo punto tornare sulla ricerca architettonica di Peter Eisenman che in questo periodo, interrogandosi sulla possibilità di traslare in architetture l’idea di movimento, elabora la tecnica del “blurring”. L’idea prende atto dallo studio di un’opera di Giacomo Balla del 1911 intitolata Dinamismo di un cane al guinzaglio. E viene magistralmente riproposta in un progetto del 1988.
Aronoff Center, Cincinnati, 1988-97

A partire dalle preesistenze, si innesca un meccanismo che agisce attraverso incastri, deformazioni, traslazione, sovrapposizioni e diagrammi funzionali. Il nuovo ampliamento, corrispondente al volume ondulato laterale, si insinua tra i vecchi edifici con andamento a zig-zag come fosse una nuova promenade che accoglie le funzioni comuni. Ad entrambi è stata applicata la tecnica del blurring che ha permesso di trasformare l’insieme in un sistema statico in movimento.

La volontà di rendere il movimento porta Gehry a progettare spazi che sembrano scene teatrali in continua trasformazione. Gli attori-volumi delle sue architetture sembrano infatti parlare, muoversi e ballare nello spazio; non hanno bisogno del fruitore per essere vivi. Traiettoria, allusività simbolica e urbanscape diventano le parole chiave di questa nuova architettura che sembra aver fagocitato i temi della plastica futurista (non a caso infatti la passione per la scultura porta Gehry a confrontarsi con l’opera di Boccioni intitolata Muscoli in velocità).
In opere quali: il Museo Vitra a Weil am Rhein oppure la Concert Hall Disney a Los Angeles, o il più famoso Guggenheim di Bilbao, l’architetto si diverte a sagomare masse sinuose e dinamiche che rimbombano e deformano lo spazio circostante. Con Gehry si assiste al passaggio dallo spazio organico allo spazio sistema. Ciò significa che la creazione di uno spazio non è più basata solo sul suo funzionamento interno ma dipende da diverse considerazioni ( l’ ambiente circostante, lo spazio, l’espressività etc..) concepite come equazioni direttamente concatenate.
Museo Guggenheim, Bilbao, 1991-97

 L’opera; che si colloca in un nodo degradato e strategico della città lungo il fiume, è tra le più importanti e conosciute della fine del XX secolo; per la sua concatenazione tra i corpi che s'intrecciano con virulenza meccanica uno sull'altro creando spazi vivibili sia all’interno che all’esterno.  L’importanza del museo è dettata sia dal suo aspetto scenografico; poichè con le sue traiettorie slanciate e curvilinee, rimanda a un universo in costante movimento; sia dal suo aspetto simbolico e dalla sua valenza metaforica. Il complesso infatti; sia dal punto di vista formativo sia per la sua valenza sociale sembra una grande cattedrale pronta ad accogliere i numerosissimi visitatori che tutti i giorni vi si recano in una sorta di pellegrinaggio.


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